Le nuove professioni e i nuovi posti di lavoro creati dalla tecnologia e dall'intelligenza artificiale

di

Federica Gaetani

15.04.2024

4

minuti di lettura

Questo è a mio avviso un tema importante e complesso, che ha a che fare con la paura che hanno molti nei confronti di innovazione e nuove tecnologie.

Sicuramente molte attività, soprattutto quelle ripetitive ed a basso valore aggiunto, verranno automatizzate (si badi bene che questo non riguarda unicamente attività poco remunerative).

Ma è anche vero che nasceranno molte figure nuove, alcuni lavori scompariranno e altrettanti ne nasceranno: mai come in questo momento il mercato lavorativo è stato in fermento e ha vissuto cambiamenti. Ogni rivoluzione industriale ha portato novità in ambito lavorativo, ma nessuna è paragonabile a quella che stiamo vivendo oggi, la quarta rivoluzione industriale.

Nasceranno anche nuove figure manageriali che dovranno traghettare imprese, grandi e piccole, verso l’innovazione e la digitalizzazione, se per esempio parliamo di grandi studi legali, molti si stanno dotando della figura del CIO che sta per Chief Innovation Officer. Il CIO avrà un ruolo cruciale nel far adottare allo studio tutti gli strumenti tecnologici che permettono di migliorare il lavoro offerto ed inoltre si occuperà di creare partnership tecnologiche che consentano di trasformare l’attitudine innovativa in progetti concreti.

Oltre all’imperativo di formarsi e rimanere aggiornati sulle tendenze del mercato del lavoro, il professionista del futuro dovrà fare attenzione ad acquisire alcune competenze “soft” specifiche, come ad esempio il personal branding, il networking, il growth hacking. In linea generale, la domanda di professionalità sarà trainata essenzialmente da due fattori la rivoluzione digitale e l’eco-sostenibilità.

Nel dettaglio, le imprese digitali cercheranno tra i 210mila e 267mila lavoratori con competenze matematiche e informatiche per i lavori digitali, e quindi esperti nell’analisi dei dati (data scientist) e nel campo della sicurezza informatica e dell’intelligenza artificiale. Quanto ai cosiddetti “green jobs”, ovvero tutte quelle attività che ricadono nell’ambito dell’economia circolare, variano da 480mila a 600mila unità i lavoratori che saranno ricercati dalle imprese per orientare i propri processi produttivi.

Lo stesso discorso vale per i digital e social media manager e i business developer. I lavori strettamente legati alle tecnologie sono ovviamente in cima alla lista dei desideri e al momento è lo sviluppatore di software una delle figure più ricercate.

Nel corso degli anni sono stati condotti diversi studi a sostegno della tesi che a un maggiore impiego dell’automazione segue un aumento dell’occupazione, ma sono presenti anche studi che evidenziano l’opposto.

Nell’era della quarta rivoluzione industriale il tema non potrebbe essere più attuale. Ma ha ancora senso avere paura che robot e algoritmi ci rubino il lavoro? Quali sono le politiche attive e le azioni che devono essere intraprese per far sì che l’effetto sostituzione che si verifica in seguito all’automazione di alcune professioni non porti alla perdita di posti di lavoro?

Esiste un fenomeno che prende il nome di “reinstatement effect”: più si investe nella robotica, più il numero dei lavoratori che svolgono attività complementari cresce a sua volta.

Un effetto di cui aveva parlato anche il World Economic Forum, che nelle sue previsioni del 2018 aveva stimato che entro il 2025 la metà dei lavori attuali sarà svolta dai robot, con una perdita di 75 milioni di posti di lavoro. Allo stesso tempo, però, i robot creeranno 133 milioni di posti di lavoro più specializzati, con un saldo positivo di 58 milioni di nuovi posti di lavoro creati.

L’automazione uccide i lavori meno specializzati, quelli che l’uomo non vuole più fare o che non avrebbe mai voluto fare. Per beneficiare di questo “reinstatement effect”, tuttavia, occorre fornire alla forza lavoro le competenze necessarie a svolgere queste mansioni e queste professioni più specializzate.

Un altro studio della Bank of America sulle future tendenze economiche ha analizzato il futuro del lavoro che genererà un indotto pari a 14 mila miliardi di dollari. Ma dovremo dire addio al 65% dei posti, così come li conosciamo oggi.

E’ invece di oltre 12 milioni il saldo positivo di nuovi posti lavoro creati dalla tecnologia. Secondo lo studio “Robo Sapiens: future of work primer” realizzato da un pool di analisti della Bank of America, entro il 2025 saranno 85 milioni i posti di lavoro cancellati dall’automazione, a fronte dei quali, nello stesso arco temporale, saranno realizzati 97 milioni di nuovi posti di lavoro.

Il saldo positivo, pari appunto a circa 12 milioni di nuove opportunità di lavoro, ci racconta che il 65 per cento dei ragazzi che, in questi anni frequentano la scuola, è destinato a lavorare in aziende che ancora non esistono.

Chiaramente parliamo di previsioni, basate su analisi e dati diversi, ed è per questo che diversi studi portano a numeri diversi, ciò che conta però è che si creeranno nuove opportunità di lavoro se si riusciranno a sviluppare le giuste competenze.

Come creare nuove competenze?

Occorrono Politiche per indirizzare quel processo di reskilling della forza lavoro e per guidare la formazione continua di cui ci sarà sempre un maggiore bisogno per far fronte ai cambiamenti che interesseranno nei prossimi anni le professioni.

Ma quali saranno questi cambiamenti? Quali le professioni che sono più a rischio? A tal proposito in economia si sono sviluppate due teorie: quella dello skill bias technical change, secondo cui il progresso tecnologico tende a spiazzare le skill a bassa specializzazione e quella del routine bias technical change, secondo cui il progresso riduce i lavori di routine. Fenomeno che, come abbiamo visto, ancora non è stato riscontrato nel nostro Paese.

La figura dell’Antronomo

Se ci soffermiamo sulla situazione Europea un tema che si è aperto di recente riguarda chi si occuperà di attuare concretamente le procedure indicate nella via europea, antropocentrica, all’intelligenza artificiale? Servono senz’altro nuove professionalità e, tra queste, quella dell’antronomo, una persona che pone l’umano come norma all’interno di un processo di innovazione ed in una condizione digitale

Stiamo parlando dell’antronomo e dell’antronomia. Il neologismo che è stato coniato da alcuni esperti di settore è di derivazione greca e sta a significare una persona che pone l’umano come norma all’interno di un processo di innovazione e in una condizione digitale. In altri termini è un professionista che attinge da competenze trasversali di vari saperi e scienze e li applica affinché una innovazione tecnologia soprattutto digitale possa essere a servizio dell’umano e delle sue istanze, possa in altri termini essere una innovazione antropica. L’antronomo risponde esattamente alle esigenze e le istanze che la via europea propone e chiede.

I corsi legati alla figura dell’antronomo debbono conferire ai professionisti, oltre alle conoscenze scientifiche necessarie, ad esempio, a essere psicologo o infermiere o architetto, anche quelle conoscenze di base sulla trasformazione digitale indispensabili per dialogare con informatici, aziendalisti, ingegneri, fisici che progettano e realizzano innovazione digitale.

L’antronomia nel suo complesso sarà dunque non propriamente una scienza a sé, ma una visione dei saperi legati all’innovazione capace di tenere insieme saperi e valori, capace cioè non solo di non nuocere all’essere umano ma di favorirlo.

In conclusione non dobbiamo guardare a questa nuova “era” con diffidenza ma dobbiamo coglierne le grandi opportunità, mai come oggi è possibile cambiare la propria vita grazie all’impegno ed alle competenze e questo grazie alla scienza ed alla tecnologia.

Chiudo con una frase dell’imprenditore e pensatore Naval Ravikant:

"Siamo quasi sette miliardi di persone su questo pianeta. Un giorno spero che ci saranno quasi sette miliardi di aziende".

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